Andrè
Derain, grandissimo non abbastanza noto pittore del Novecento, disse
una volta: "Bisogna aver penetrato intimamente la vita delle
cose, per dipingerle. La forma per la forma non ha alcun interesse."
L'affermazione vale anche per Enrico Imberciadori, che con Derain -
soprattutto il Derain del periodo "gotico", dopo
l'esplosione fauve - ha molto in comune: la prosciugata
essenzialità delle linee, la tavolozza più profonda che vivace, il
gusto dell'intaglio, un'ascetica tensione spirituale. La premessa del
suo lavoro artistico consiste nella sincerità e nell'onesta; si può
aggiungere la semplicità, purché si sia consapevoli che alla buona
semplicità non si approda direttamente ma attraverso un percorso di
formazione e di esclusione.
I lavori di Imberciadori sono realizzati
con naturalezza, mai forzati, ma non si possono dire spontanei e
immediati; in essi ritornano appunto echi della grande arte moderna
del primo Novecento, filtrati con personale sensibilità: oltre a
Derain, Gauguin (anch'egli, nel caso non lo sapeste, grande
xilografo), Cezanne, Giacometti, tutti coloro che non tradiscono la
realtà ma la filtrano alla
luce di una tensione etica. Allo stesso tempo resta pigiato il pedale
del gioco e della favola, in una dimensione narrativa: i lavori sono
spesso dei fermi immagine di episodi autobiografici, vicende percorse
da una sottile vena surreale, sottili spiazzamenti realizzati con
soave leggerezza, paradossi visivi ottenuti con particolari
eccentrici e prospettive sghembe, tra Chagall, Picasso e Klee, o per
rimanere in Italia Sironi e Gentilini.
Le frequenti variazioni tematiche e stilistiche rispecchiano
puntualmente le tendenze prevalenti a livello europeo, dall'informale
al realismo sociale alle tecniche sperimentali dei decenni recenti,
passando attraverso ogni tipo di tecnica, dalla tempera classica al
collage alla xilografia, spesso sovrapposte nello stesso lavoro,
sicché per quasi tutte le opere la dizione didascalica è
inevitabilmente 'tecnica mista'.
Traspare in ogni caso l'amore per la
vita, l'affetto spontaneo per la natura e per le persone, sia che si
tratti di paesaggi della città e delle valli dell'entroterra, sia
che soggetto dei lavori siano figure simboliche non identificabili,
folla del nostro tempo così faticoso e ingiusto da far disperare, a
meno che, parafrasando Manzoni, non venga una valida mano dal Cielo.
E' infatti la fede religiosa, trasfusa anche in numerosi lavori di
soggetto sacro (ricordo almeno il grande mosaico realizzato per la
facciata della chiesa di San Giovanni Battista a Migliarina), a
trasmettere all'artista la fiducia e la speranza che sorreggono tutta
la sua opera.
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