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martedì 6 marzo 2018

La buona pratica - Enrico Imberciadori al LAS Cardarelli




Andrè Derain, grandissimo non abbastanza noto pittore del Novecento, disse una volta: "Bisogna aver penetrato intimamente la vita delle cose, per dipingerle. La forma per la forma non ha alcun interesse." L'affermazione vale anche per Enrico Imberciadori, che con Derain - soprattutto il Derain del periodo "gotico", dopo l'esplosione fauve - ha molto in comune: la prosciugata essenzialità delle linee, la tavolozza più profonda che vivace, il gusto dell'intaglio, un'ascetica tensione spirituale. La premessa del suo lavoro artistico consiste nella sincerità e nell'onesta; si può aggiungere la semplicità, purché si sia consapevoli che alla buona semplicità non si approda direttamente ma attraverso un percorso di formazione e di esclusione. 
I lavori di Imberciadori sono realizzati con naturalezza, mai forzati, ma non si possono dire spontanei e immediati; in essi ritornano appunto echi della grande arte moderna del primo Novecento, filtrati con personale sensibilità: oltre a Derain, Gauguin (anch'egli, nel caso non lo sapeste, grande xilografo), Cezanne, Giacometti, tutti coloro che non tradiscono la realtà ma la filtrano alla luce di una tensione etica. Allo stesso tempo resta pigiato il pedale del gioco e della favola, in una dimensione narrativa: i lavori sono spesso dei fermi immagine di episodi autobiografici, vicende percorse da una sottile vena surreale, sottili spiazzamenti realizzati con soave leggerezza, paradossi visivi ottenuti con particolari eccentrici e prospettive sghembe, tra Chagall, Picasso e Klee, o per rimanere in Italia Sironi e Gentilini.
Le frequenti variazioni tematiche e stilistiche rispecchiano puntualmente le tendenze prevalenti a livello europeo, dall'informale al realismo sociale alle tecniche sperimentali dei decenni recenti, passando attraverso ogni tipo di tecnica, dalla tempera classica al collage alla xilografia, spesso sovrapposte nello stesso lavoro, sicché per quasi tutte le opere la dizione didascalica è inevitabilmente 'tecnica mista'. 
Traspare in ogni caso l'amore per la vita, l'affetto spontaneo per la natura e per le persone, sia che si tratti di paesaggi della città e delle valli dell'entroterra, sia che soggetto dei lavori siano figure simboliche non identificabili, folla del nostro tempo così faticoso e ingiusto da far disperare, a meno che, parafrasando Manzoni, non venga una valida mano dal Cielo. E' infatti la fede religiosa, trasfusa anche in numerosi lavori di soggetto sacro (ricordo almeno il grande mosaico realizzato per la facciata della chiesa di San Giovanni Battista a Migliarina), a trasmettere all'artista la fiducia e la speranza che sorreggono tutta la sua opera.


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