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martedì 4 ottobre 2016

Inaugura al LAS la mostra delle opere di Alfredo Coquio


LA PIETRA VIVA 
Alfredo Coquio è affetto da una forma estrema di animismo. La materia apparentemente più inerte e insensibile fra tutte la pie-tra, è viva: palpita, respira, sente, ha addirittura una propria iden-tità. Il processo tradizionale della scultura viene in qualche modo rovesciato: l'artista non è un creatore che ricava forma e vita dal non essere; è un liberatore, o più umilmente un facilitatore della comunicazione, di esseri potenti, ma muti e impediti nei movimenti. O, meglio ancora, un sarto o un truccatore di donne pietre, che a volte hanno bisogno di interventi decisi per mostrare la propria bel-lezza, a volte invece sono belle così come sono, con piccoli interventi che non fanno che esaltare l'identità che naturalmente possiedono. E' la pietra, dunque, a dettare le linee esteriori e a svilupparle dall'interno secondo modalità già implicite. Ne deriva un ventaglio di forme molto ampio e non riconducibile ad un'unica corrente o ad un unico stile, non classificabile in alcun modo: non solo antico né solo moderno, non solo astratto né solo figurativo, non solo tradi-zionale né solo avanguardistico. Agiscono ovviamente molte sugge-stioni, in particolare il richiamo dell'arcaico. Ma non solo e non tan-to la tradizione greco-romana, quanto piuttosto l'arcaico preistorico (che da noi, ricordiamolo, è una presenza viva e ingombrante per via delle statue-stele), l'africano o più spesso il precolombiano, che nella solenne ieraticità delle figure umane evidenzia più volumi e linee che non espressioni e psicologie. All'opposto, c'è una pratica del non finito e del brut— che tra l'altro convive, nella stessa opera, con la levigatezza più estrema — espressione di arditezza concet-tuale non lontana dalle esperienze più audaci del Novecento (penso alle pietre ollari e ai grandi monoliti di Joseph Beuys). L'ampio spazio del Las è naturalmente portato ad esaltare una nuo-va mostra di scultura, che fa seguito a quella dedicata a suo tempo a Fabrizio Mismas, già compagno di strada di Coquio, nel quadro di ampia disamina della produzione artistica del territorio che è l'asse portante della progettazione espositiva. E la lezione per gli allievi del liceo? Al di là di tutto il sapiente mestiere che l'artista può in tale occasione trasmettere, direi che il messaggio più efficace di questa mostra è quello di una totale libertà espressiva, che ha come solo limite una fedeltà altrettanto totale alle leggi della materia. 
Enrico Formica 





Alfredo Coquio vanta una convincente identità di scultore, rivelata lungo anni di continuativa presenza nel contesto della ricerca plastica nella provincia spezzino. Stiamo parlando di un contesto ricco di figure di primissimo piano, tali da definire il profilo di una vera e propria tradizione animata dal suc-cedersi di rispettabili esperienze. Viene d'obbligo richiamare il ruolo esercitato da Angiolo Del Santo, collaboratore di prestigio di Leonardo Bistolfi e maestro di eccellenti allievi tra cui Augusto Magli, Italo Bernardini e Carlo Giovannoni. Protagonista della scultura alla Spezia è stato anche Enrico Carmassi, nel cui studio si sono formati tra gli altri Guglielmo Carro, Rino Mordacci, Ebrefe Marconi. Ma vanno ricordati anche Carlo Fontana, nativo di Carrara e sarzanese d'adozione, e soprattutto Berto Lardera, la cui statura ha acquisito dimensioni internazionali. Mario De Micheli, riconoscendo l'importanza del dialogo fra lo scultore e la materia, ha scritto che "il rapporto con il marmo, con la pietra, con la creta o con qualsiasi altra materia su cui mette le mani, è in ogni caso un rapporto specifico, differenziato, tale da ricavarne sempre un risultato strettamente conseguente alla natura stessa del "medium" prescelto. Ogni materia ha le sue qualità, le sue proprietà intrinseche, le sue durezze e le sue dolcezze, i suoi colori, il suo peso, i suoi caratteri particolari, che non si possono tradire o violare pena l'incongruenza o la falsità del prodotto creativo. Il dialogo dello scultore, con la propria materia, la sua capacità di interrogarla e di ascoltarne o intuirne le risposte, diventa un dato necessario del processo plastico". Ebbene, sono persuaso che in Coquio l'incontro con la materia è un corpo a corpo ravvicinato, un lungo dialogo segnato da inevitabili pause nel quale la pietra, acquisendo un'inattesa e graduale docilità, si dimostra cedevole ed obbediente alla sua volontà, quasi ad assecondare lo scultore nella certezza di essere valorizzata da mani esperte. Coquio sembra convinto, con il grande Henry Moore, che "da una buona scultura non è la figura che prende vita, ma la pietra mediante la figura". Arenaria, marmo, portoro, bardiglio, ultimamente l'alabastro, sono i principali referenti della sua ricerca, che si esprime nell'esecuzione di un repertorio di forme compatte, dove si alternano sinuose e prolungate cavità. La memoria esercita in Coquio una funzione importante, contribuendo a mantenere vive sensazioni di altri momenti, che l'artista porta con sé nella realizzazione di speciali "monumenti" dal potente respiro autobiografico, nei quali coesistono superfici levigate ed altre lavorate al grezzo. Tra i temi da lui affrontati hanno un rilievo non episodico le vicende dell'esistenza e gli enigmi della quotidianità, che dotano di uno speciale realismo molti suoi lavori, esibiti in attraenti ed eleganti so-luzioni formali, permeate "dallo stupore del mistero, dalla fiamma creatrice del divino, dalla passione per la grandiosità dell'antico, che non contrasta con l'esplicito bisogno di astrattezza". 
Valerio P. Cremolini 




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